un mondo virtuoso la quantità di formazione da eseguire dovrebbe essere accompagnata dalla qualità della stessa e soprattutto dalla resa della stessa in termini di apprendimento teorico-pratico dei discenti.
È solo utopico? Qual è lo stato dell’arte?
Dalla mia esperienza ma soprattutto dal confronto con gli altri, ne esce un quadro d’insieme leggermente diverso dalla precedente affermazione virtuosa.
Parto da quello che secondo me è il vero obiettivo della formazione: un’occasione per pensare e pensare con gli altri.
I protagonisti della sfida sono in primis il formatore e il discente.
Il formatore ha il delicato ma decisivo compito di accendere affetti e idee a prescindere dal contenuto del suo intervento; la sua motivazione deve essere intrinseca e deve “trasudare” continuamente nella sua presenza fisica e mentale hic et nunc in aula.
Tradotto: il primo a crederci deve essere lui….; a lui il non semplice compito di gettare le basi per la creazione della cornice di senso e di significato che poi plasmerà nell’humus relazionale che riuscirà (?) a creare con i discenti.
L’humus relazionale infatti è ben diverso dall’Hybris del Formatore, cioè dalla sua tracotanza manifestata spesso dalle capacità di “tuttologia” o di “corretta e inconfutabile interpretazione su tutto e tutti”.
Il formatore non è la soluzione, ma è parte del problema; crede di conoscere le competenze che servono a un dato gruppo di partecipanti, mentre se invece è esterno non solo non sa, ma non sa di non sapere.
L’escalation di quanto sopra si compie quando la presunzione prende campo in maniera incontrollata da far sì che alcuni formatori si pongano al di sopra dei partecipanti, altri, abbastanza umili al di sotto, solo pochi così tanto umili allo stesso livello.
La Formazione è soprattutto sviluppo personale; nelle pratiche di sviluppo, il formatore è colui che suscita e scatena idee, cioè nuovi e/o diversa elaborazione dei contenuti già in dotazione, ma anche e soprattutto affetti. Preso atto delle differenze individuali e dei temi da trattare, è l’emozionalità il mezzo di trasporto affettivo che il formatore ha l’obbligo di utilizzare.
L’emozionalità s’inzuppa di accoglienza, ascolto, empatia, entusiasmo, mediazione, confronto; questo a mio avviso è lo strumento più importante rispetto al pratico power point, oggetto transazionale usato in quantità inversamente proporzionale alla cultura del relatore.
Il setting formativo è quindi riflessione, lettura, scambio di idee, sperimentazione e fatica e l’apprendimento quindi è scelta e un percorso personale, soggettivo, ben più ampio del suo significato etimologico, ad-prehendere, indicante una concezione “prensile” di conoscenza.
E il discente? Ci sono partecipanti e partecipanti…. In più di un’occasione ho incontrato il partecipante che sa fare il partecipante ma nulla più…
La caratteristica più importante che auspico in ogni partecipante ad un corso di sicurezza sul lavoro è quella della sua personale disposizione a interrogarsi.
Interrogarsi su di sé in primis e di conseguenza come mette in campo la sua competenza nei compiti di sicurezza, sia che siano relativi all’analisi e valutazione del rischio, sia che riguardino la corretta evacuazione dei luoghi di lavoro nelle situazioni di emergenza.
Alcuni profili dei partecipanti sono assai ricorrenti:
- Il partecipante che ignora
- Il partecipante medio
- Il partecipante intelligente
- Il partecipante che partecipa
Il primo non impara perché sa già, o crede di sapere, il che soggettivamente è la stessa cosa. Quindi? Magari serve l’attestato di frequenza per i crediti…
Il secondo sa di non sapere e quindi impara, oppure ancora meglio, si accorge che sapeva già, senza saperlo.
Il terzo comprende che l’occasione è buona non solo per imparare, ma soprattutto per pensare o come ho detto in precedenza, per pensare con altri, in gruppo.
Il partecipante che “partecipa” e basta, perde un’opportunità privilegiata per ascoltare, per dialogare, per riflettere, per rielaborare il rapporto con il proprio ruolo, il proprio contesto, il proprio futuro.
Vuole afferrare qualcosa di utile per sé, ma che poi se non sedimentato a livello di intersoggettività, si perderà o comunque risulterà poco efficace.
E’ il tipico partecipante ossessionato dal ricevere in tempo reale le slides ed è quello che controlla le stesse slides ad una ad una per verificare che il materiale didattico presentato in aula sia identico da quello in suo possesso…
È affamato di strumenti, di soluzioni, dimenticando che la soluzione migliore è data dalla sua capacità di elaborazione cognitiva e affettiva rispetto al contesto organizzativo in esame.
Un altro problema infine è la difficoltà di intraprendere percorsi di follow up formativi.
La formazione dovrebbe essere un processo continuo, un percorso che abbia sviluppo nel tempo…un noto proverbio dice: “imparare (e aggiungerei apprendere) è come remare controcorrente: se smetti, torni indietro”.
A voi le conclusioni…
Tratto da: https://www.puntosicuro.it/sicurezza-sul-lavoro-C-1/tipologie-di-contenuto-C-6/informazione-formazione-addestramento-C-56/modi-di-fare-modi-di-intendere-la-formazione-alla-sicurezza-AR-18332/ – Copyright © All Rights reserved 1999-2019 – All Rights Reserved.