Con questo intento viene qui proposta un’argomentazione, oggetto di un classico seppur sempre attuale dibattito, sul tema dell’ invecchiamento nel contesto organizzativo inteso come invecchiamento nelle aziende VS invecchiamento delle aziende, laddove il primo termine fa riferimento al progressivo aumento dell’età delle popolazione aziendale, mentre il secondo si riferisce alle conseguenze dell’immobilità delle organizzazioni stesse di fronte alla necessità/opportunità di porre in atto cambiamenti che le mantengano “giovani” in relazione al contesto in cui sono immerse.
I dati oggi disponibili dimostrano che, negli ultimi anni, la percentuale di lavoratori anziani è notevolmente aumentata, e altrettanto lo è l’attenzione che le organizzazioni vanno potendo nei riguardi dei cosiddetti older workers, in modo particolare verso coloro compresi nella fascia d’età dai 55 anni in su.
Le ricerche più recenti hanno evidenziato alcuni passaggi contrastanti sulle conseguenze dell’invecchiamento della forza lavoro; da un lato, infatti, si dimostra come talune occupazioni psicofisicamente impegnative possano comunque essere sostenute dai lavoratori in fascia di età avanzata grazie al mantenimento di una buona funzione fisica realizzabile attraverso precisi programmi e piani di benessere psicofisico ma, dall’altro, emerge come gli attuali metodi testistici e valutativi della funzione fisica, pecchino spesso di mancanza di specificità e rilevanza, dimostrando spesso una sottostima dell’effettiva capacità fisica nel lavoratore più anziano. Emerge pertanto come le organizzazioni che, spesso, non dispongono delle informazioni e degli strumenti adeguati per far fronte al dibattito sull’invecchiamento della forza lavoro, in particolare con riguardo agli standard di occupazione fisica potrebbero, con appropriate strategie di gestione dell’invecchiamento della popolazione aziendale che ne valorizzino i punti di forza, favorire l’aumento dello standard di prestazione lavorativa degli older workers, contemporaneamente proteggendoli dalle possibili vulnerabilità.
Come anticipato in premessa, accanto a questo tema va considerato quello altrettanto saliente, relativo all’invecchiamento delle organizzazioni.
In questo ultimo decennio si è assistito ad una notevole evoluzione dei contesti tecnologici e ad un altrettanto importante mutamento degli scenari sociali, fenomeni che hanno avuto un considerevole riverbero tanto sui processi organizzativi quanto sul modo di vivere il quotidiano lavorativo da parte delle persone. Le imprese hanno fronteggiato nuovi scenari mettendo in atto una molteplicità di articolati cambiamenti, tanto che la capacità di affrontare il cambiamento stesso facendo propria l’attitudine a gestirlo è diventato un fattore determinante per il mantenimento della competitività. La mancanza di cambiamento organizzativo diviene, quindi, fattore determinante l’invecchiamento delle aziende perché ne uccide la capacità di competere in un contesto mutante, in cui fattori quali la capacità di stare al passo con la velocità dell’informazione e della conoscenza, con l’impatto della tecnologia e dell’innovazione sui sistemi socio-economici produttivi, sono leve di longevità.
Per affrontare in modo continuo il cambiamento è quindi essenziale saper pensare a possibili interazioni tra le varie e molteplici componenti del sistema organizzazione, capaci di innescare processi virtuosi integranti le diverse funzioni, dalle Risorse Umane alla Salute e Sicurezza, per la produzione di una vera e propria cultura del cambiamento. Per evitare l’ invecchiamento delle organizzazioni è necessario, dunque, investire su nuove basi per la multidisciplinarietà ovvero dotarsi di nuove chiavi di lettura dei fenomeni evolutivi e co-evolutivi del cambiamento organizzativo.
Proprio per questo è necessario riconoscere ed analizzare il processo di crescita dell’organizzazione intendendola al pari di ogni altro composto vivente e biologico, quindi attivo, animato, capace di apprendere all’interno, motivato a riconoscere determinati elementi cognitivi. Determinante è un’azione proattiva e spontanea che produca nell’organizzazione una positiva condizione di alterazione costante degli equilibri consolidati, una sorta di “turbolenza della struttura organizzativa” , capace di produrre una revisione dei modi di pensare, di essere, degli stili personali, e dei comportamenti, alla luce dei valori dichiarati.
Il cambiamento strutturale organizzativo diviene allora un concetto attivo: il cambiamento induce alla flessibilità, alla conoscenza, al proiettare in avanti l’intero sistema. I processi organizzativi divengono attivi, aperti, fluidi e sviluppano dinamiche complesse e variabili, senza necessariamente slegarsi dal tessuto e dalla storia dell’organizzazione. Inevitabili sono, dunque, i processi di cambiamento che, però, dovranno sempre tenere in considerazione la memoria organizzativa, principale artefice dello sviluppo dell’identità necessaria per il bilanciamento delle dinamiche organizzative. Così l’organizzazione non invecchia, ma diviene adulta, cioè capace di ripensarsi contemplando la formazione, la continua innovazione strategica e la capacità di accogliere il proliferare di nuove metodologie e tecnologie. L’organizzazione del terzo millennio deve adattarsi all’uso delle nuove tecnologie e farne un punto di forza: queste saranno finalizzate alla gestione delle risorse che creano conoscenza. L’organizzazione vetusta, quindi, tende ad associare il cambiamento al dramma, alla crisi, al pericolo, in realtà questi pensieri sono creati dall’incertezza e dalla paura di ridisegnare, modificare, reinventare nuove forme di organizzazione.
Per ottenere lo svecchiamento delle organizzazioni è necessaria un’attenta analisi del cambiamento organizzativo e strategico: emerge la necessità di spostare il focus dell’analisi strategico-organizzativa da una prospettiva di contenuto ad una prospettiva di processo improntata sulla comprensione, di creare le necessità di apprendimento organizzativo per sviluppare le proprie competenze e le proprie risorse.
Ecco, allora, che i due temi di riflessione proposti si compendiano stemperando il supposto VS iniziale in una logica di integrazione: l’organizzazione che non invecchia è quella che cambia con l’avanzare del tempo e dei tempi e, per fare questo, accoglie e supporta l’ invecchiamento anagrafico della sua popolazione con politiche e strategie di valorizzazione.
Pubblicato su Punto Sicuro